Non avrei mai pensato di entrare così in intimità con il mio “io”. Il volontariato di Giulia

 In SVE

Non sono brava a scrivere, ma ci provo. Il volontariato europeo in Bulgaria è stata un’esperienza illuminante per me. Completamente diversa dalle mie aspettative (e qui il rimando ad Associazione Joint nell’incontro pre-partenza che ci dice: “è sempre meglio non avere aspettative”). 

In realtà son contenta che sia andata così; non ho imparato praticamente nulla sulla permacultura (motivo quasi principale per cui questo volontariato aveva inizialmente attirato la mia attenzione), ma ho capito e appreso moltissimo su cose molto più importanti, in primis capire me stessa. Non avrei mai pensato di entrare così in intimità con il mio “io” essendo SEMPRE in gruppo – é vero quindi che non siamo “nessuno” senza l’altro? Che siamo quello che siamo in relazione al rapporto con gli altri? Sì, ed è anche da questo che ho capito quanto l’uomo sia un animale sociale. 

Sono una persona piuttosto solitaria nella vita di tutti i giorni, ma in quel contesto ho amato lo stare in gruppo, forse perché era proprio un bel gruppo (abbiamo avuto feedback super positivi da tutti gli host che ci hanno ospitato). Eravamo 15 volontari – tra cui 5 spagnole, 5 italiani, 3 turchi, 1 francese e 1 rumena – molto uniti fin da subito, attivi, grintosi, solidali. Ci siamo divertiti davvero un sacco, non ho mai riso tanto. Le barriere linguistiche e culturali non sono state barriere ma delle bellissime opportunità per arricchirci

Il mio volontariato è partito con il primo lungo wild camp di ben 17 giorni, in un luogo magico e fatato nelle Rodopi Mountains. La Bulgaria è ricca di acqua e ci ha gentilmente fatto usufruire delle acque del bellissimo lago Beglika per lavarci e lavare i nostri panni. Acque gelide ma “o quello o quello”. Di giorno eravamo impegnati in attività più disparate, dalla cucina, al taglio legna, costruzione di un forno in paglia e argilla, decorazioni varie, costruzione di eco-toilet, costruzione di stand e allestimenti vari, camminate di raccolta erbe per il tè. Il momento che preferivo però arrivava la sera. Dopo cena, ci riunivamo intorno al fuoco, si faceva musica – balcanica e non – si cantava, si parlava, si guardavano le stelle. Ho visto la via lattea per la prima volta nella mia vita, ho pianto. Le stelle cadenti non erano una rarità, bastava tenere il naso all’insù per qualche istante per vederne una. Faceva freddo, ma non abbastanza da soffrirne. Si è stati bene – non tutti allo stesso modo, ma in linea di massima è stata la parte migliore del progetto per la maggior parte di noi. Alla fine, non riuscivo a realizzare che saremmo tornati nella civiltà. La natura mi ha come purificata e catturata allo stesso tempo: amo leggere e avevo con me dei libri, mai aperti. Nel tempo libero preferivo osservare i formicai, camminare nel bosco, creare qualcosa con i materiali che la natura ci offre, bagnare i miei piedi nel lago, stendermi nell’erba e guardare il cielo.

Mi sto dilungando, scusate. E sto usando un sacco di virgolette, scusate ancora. 

In ogni caso, dopo Beglika abbiamo girato tutto il paese, di festival in festival e di fattoria in fattoria. Siamo stati in un festival di musica elettronica, dove abbiamo aiutato nella costruzione dei dome e cucinato, sfoderando l’arte dell’inventiva e dell’improvvisazione. Sempre in tenda – come in tutti i progetti che ci hanno ospitati, ho dormito in un letto vero forse 12 giorni in due mesi – il luogo era molto più difficile rispetto a Beglika: faceva caldissimo, era arido, secco, aspro, l’unica fonte di acqua era una fontanina che riempiva 1 litro in un minuto, il bagno distante da tutto il resto, non c’erano molti alberi quindi anche il bagno naturale – il mio preferito – era impossibile da trovare. Ma: ci siamo divertiti un sacco, la situazione era così assurda che continuavamo a ridere: per fortuna che in realtà è durata solo 3 giorni!

Dopo, siamo andati a Nord del Mar Nero, in un paesino di 80 abitanti dimenticato da dio dove abbiamo cercato di parlare (con un interprete, i bulgari non parlano inglese, figurarsi in un contesto del genere dove l’età media é 70 anni) con la gente del posto, per un’attività di investigazione storico-culturale interessantissima, abbiamo costruito una mappa mentale del posto e cercato di capire come l’eco-campo che è nato lì e ci ha ospitati potesse aiutare quel luogo fantastico, in cui la terra è ricca e l’aria pulita, ad attrarre giovani e ripopolarlo o far sì che la gente del posto non fugga in città. È stato interessantissimo (e quando una persona anziana parla sono sempre affascinata). Abbiamo dormito in una spiaggia per spezzare il viaggio di andata e in uno spiazzo verde di un paesino tutto di pietra e legno per spezzare il viaggio di ritorno, questa volta addirittura senza tenda. 

Tappa successiva: Shipka, nel cuore dei Balcani. Abbiamo piazzato le nostre tende nel giardino di questa casa con un giga-orto (dove sì, praticano permacultura) in cui c’erano altri ragazzi che svolgevano un volontariato long- term proprio lì. Abbiamo aiutato nella ristrutturazione del centro culturale del paese che è stato per anni trasandato e a cui si vuole dare una nuova vita. L’ultima sera abbiamo fatto una camminata in montagna e abbiamo cenato intorno al fuoco, con un panorama pazzesco sul verde incontaminato e selvaggio di quella terra meravigliosa (di cui avrete capito, mi sono innamorata). 

No stop, ci siamo spostati a Sopot al festival del volo, dove noi volontari abbiamo avuto la possibilità di lanciarsi gratis (la mia parola preferita) con il parapendio. È stato emozionante. 

Poi, nonostante non volessi mollare il gruppo ho deciso di prendermi i miei giorni liberi e sono andata da sola a Plovdiv, capitale della cultura 2019 insieme a Matera. Una città bella, giovane, attiva ma pur sempre una città: dopo 3 giorni il countryside chiamava e sono tornata nella Green House, casa base della Green Association, un luogo immerso in un’energia positivissima e calda. 

Ultima tappa: the Experiment, sempre nei Balcani, dove quest’uomo bulgaro che ama i giochi in scatola e i giochi in generale ha comprato un rudere che vuole trasformare in un centro per workshop, seminari, lezioni, scambi internazionali: è però ancora al primo step, quindi noi ci siamo occupati di demolire le pareti instabili e togliere le erbacce. Qui il modo di lavarsi è davvero divertente: essendo il fiume a qualche km di distanza, abbiamo utilizzato l’unica fonte di acqua disponibile, ovvero una canna dell’acqua. Ci insaponavamo tutti in fila e il nostro coordinatore ci ha innaffiato per bene. Ho imparato l’uncinetto nel tempo libero e fondato con altre ragazze il “granny-team”. 

Più tardi, siamo tornati tutti quanti alla Green House, è arrivato il tempo del Green-Summit: per tre giorni ospiteremo a nostra volta tutti coloro che ci hanno ospitato nelle settimane precedenti, discuteremo su progetti in corso e futuri, sul mondo, giocando e discutendo insieme. Tutti sono così positivi!

Lascio la Bulgaria con una malinconia incredibile, due mesi sono volati e vorrei aver avuto più tempo. Tornerò di sicuro, mi piacerebbe in futuro aiutare chi ha deciso, in questo mondo dove c’è un sacco di bene ma anche un sacco di male, di stare sul piatto positivo della bilancia. 

Grazie anche a voi, Associazione Joint, che lo avete permesso, scusate la lungaggine e la non oggettività di questo articolo ma mi è partito così!

Giulia Marini

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