Elenchi da Kathmandu (SVE in Nepal) – Le festività in Nepal

 In SVE

Il viaggio di Sara prosegue con le celebrazioni natalizie in Nepal, una situazione sicuramente singolare per chi nella vita ha l’abitudine di celebrarlo con i propri famigliari e i cari. Ecco cosa accada dall’altra parte del mondo!

1. Lo spirito del Natale
Passare il giorno di Natale in Nepal non è stato triste, ma sicuramente strano e a tratti malinconico. Abbiamo passato la giornata nella Chiesa protestante dove le bambine hanno fatto i balletti che preparavano da tutto l’avvento (ed è stato un po’ come essere alla recita di Natale dei propri figli – non ho figli, ma ho immaginato) e abbiamo pranzato insieme a tutta la comunità, ma le pietanze erano talmente piccanti per il mio palato e il mio stomaco che alla fine ho mangiato solo riso e una fetta di torta con la scritta “Happy Birthday Jesus”. Tornate a casa, era l’ora in cui in Italia iniziava il pranzo di Natale e mi è sembrato strano dover salutare tutti dalla telecamera di Skype. Mentre facevo gli auguri al parentado, ha bussato alla porta un ragazzo nepalese che si era fermato a chiacchierare con me qualche giorno prima mentre facevo il bucato. Ci ha portato una borsa piena di cioccolato, muffin, brownies e biscotti, dicendo che nei giorni di festa si sente più forte la nostalgia di casa. L’ho raccontato alla mia mamma inglese e mi ha risposto che lo Spirito del Natale era venuto a farci visita.

2. Pokhara
Per capodanno, siamo uscite dalla Valle di Kathmandu e abbiamo fatto qualche giorno di vacanza a Pokhara. È una città molto turistica che si affaccia su un bel lago – verde per il riflesso dei boschi circostanti- e dà accesso a molti dei circuiti di trekking dell’Annapurna. Quando è sereno l’Himalaya si vede vicinissimo. Il lungolago si divide in due parti: una che assomiglia a un lungomare pieno di negozi di souvenir e ristoranti che alla seconda passeggiata hai già memorizzato le insegne, i menù e la merce in vendita, e un’altra parte che ti ricorda di essere in Nepal: le strade sono di terra e non di asfalto, le donne fanno il bucato e si lavano nelle acque lacustri, si asciugano i capelli al sole e intrecciano per strada le reti da pesca. C’è un cartello che sembra stabilire il confine tra le due parti, lo si legge “entrando” nel lungolago incontaminato e recita, quasi facendo il verso al suo gemello, “Welcome to Happy Village”.

3. L’alba
Abbiamo puntato la sveglia alle 4,45 del mattino e da Pokhara siamo andate a Sarangkot a vedere il sole sorgere sull’Himalaya. In realtà il sole sorgeva esattamente dalla parte opposta dell’Himalaya eppure da così lontano, prima ancora di spuntare, faceva sì che a poco a poco le montagne uscissero dalla notte e facessero la loro apparizione, come nel buio di un teatro nel quale vengano progressivamente accese le luci del palco. Mentre assistevo a quello spettacolo mi è tornato in mente il terrore ancestrale dei primi uomini che, diversamente da noi, non vivevano nella certezza che l’indomani il sole sarebbe sorto.

4. “Fundraising”
L’ultima sera a Pokhara, mentre ceniamo in un orribile ristorante indiano-vegeteriano, e ridiamo per non so quale ragione, un uomo seduto al tavolo accanto al nostro ci sorride e attacca bottone. Ne nasce una conversazione breve, durante la quale ognuno racconta da dove viene, come mai si trova in Nepal, cosa ha visitato a Pokhara… Lui: iraniano, residente ad Amsterdam, in Nepal per un corso di meditazione in un monastero buddista. Poi la domanda fatidica: “Sapete, per caso, quanta parte delle donazioni alle ong raggiunge i beneficiari?”. Rispondiamo parlando del nostro piccolo orfanotrofio e raccontiamo che la gestione familiare della struttura fa sì che tutti i soldi vengano spesi per le bambine. Ecco allora che quest’uomo tira fuori dal portafoglio 250 euro e ci dice che li ha conservati per fare una donazione e che, solo in quel momento, ha trovato qualcuno a cui darli.

5. La montagna incantata
Dopo cinque mesi ho finito di leggere La montagna incantata. Avevo iniziato questo romanzo il primo anno di università su consiglio della mia amica Chiara Casali, ma dopo le prime cinquanta pagine lo avevo abbandonato. Prima di partire per il Nepal, mi è tornato in mente e ho voluto portarlo con me e, leggendolo, ho riconfermato la mia idea per cui ogni libro ha la sua occasione, deve essere incontrato e letto al momento giusto. Hans Castorp, il protagonista, mi ha fatto compagnia con le sue riflessioni di giovane uomo che trascorre sette lunghi anni della sua vita in un sanatorio svizzero, in quello che definisce un altro mondo rispetto al mondo di laggiù, della pianura dove aveva vissuto i precedenti anni della sua vita. Pur non essendoci alcun comprensibile collegamento tra un sanatorio svizzero dei primi del 900 e il mio Nepal del 2016/2072, quelle di Castorp sono le riflessioni di un uomo per cui tutto è nuovo e degno di interesse e curiosità, per cui il tempo accelera o rallenta a seconda delle abitudini che plasmano le sue giornate, il cui corpo reagisce a un nuovo ambiente, a un nuovo clima … insomma le riflessioni di un uomo curioso in viaggio.

monte nepal

6. Corpo 
Una delle cose che ho imparato stando in Nepal è che il mio corpo è molto più lento della mia mente nell’adattarsi a un mondo nuovo e questa scoperta mi ha in qualche modo sorpreso. Spesso immaginiamo il corpo come una macchina perfetta, come un meccanismo che risponde intelligentemente alle reazioni che provengono dall’ambiente esterno, eppure il mio corpo, a distanza di mesi, si ribella inaspettatamente a determinati alimenti (“il mio corpo reagisce a tutto. Ma non so mai in che modo reagirà”) e si ostina a prendere raffreddori, mal sopportando la mancanza di un sistema di riscaldamento in questi mesi invernali. Non mi era mai capitato di pensare così spesso al mio corpo e di percepirlo come qualcosa di “insubordinato” alla mente. (“Mi chiedo quanti quaderni ci vorrebbero solo per descrivere tutto ciò che il nostro corpo fa senza che noi ci pensiamo. Le funzioni meccaniche sono innumerevoli. Non ci facciamo caso, ma basta che una si inceppi e non pensiamo ad altro.” Storia di un corpo – D. Pennac).

7. Orfanotrofio che vai, religione che trovi
Il Nepal è disseminato di orfanotrofi. Nel mio stesso villaggio se ne contano almeno quattro. In questi mesi ho avuto occasione di visitare un orfanotrofio buddista e uno musulmano e mi sono accorta che in questi, così come nel mio (protestante), la religione gioca un ruolo fondamentale. In entrambi le visite ho sentito i bambini cantare mantra buddisti, da una parte, e recitare il Corano dall’altra. In un paese a maggioranza induista, spesso i bambini “si convertono” alla religione della casa in cui vanno ad abitare.

8. La serenità tibetana
Tra i mesi di dicembre e gennaio ho fatto due belle passeggiate che, attraverso boschi e colline, mi hanno portato in due diversi monasteri buddisti. Uno è quello di Kopan (famoso per aver ispirato a Bertolucci la storia de “Il piccolo Buddha”) e l’altro è il Gompa di Nagi, monastero femminile che ospita circa un centinaio di monache e che guarda, dall’alto di una collina, l’intera valle di Kathmandu. I monasteri tibetani sono ordinati, puliti, silenziosi e rilassanti (l’opposto dei templi hindu). Ho ascoltato le monache cantare infinite volte lo stesso mantra cadenzato dal ritmo dei tamburi e ho visto i monaci ripetere infinite volte gli stessi passi di danza. E ho pensato che la “ripetizione” (sia essa di frasi, canti o gesti) è un elemento topico delle religioni, una via preferenziale per raggiungere il divino.

buddha nepal

9. “Tecnologie”
Per tre lunghi giorni siamo rimaste senza acqua in casa. Abbiamo battuto il record e non è stato piacevole. Ma la cosa più sconvolgente e difficile da tollerare è stato il fatto che con una semplice pompa elettrica (che già possedevano) i nostri padroni di casa (che abitano al piano di sopra ed erano vittime del nostro stesso problema) avrebbero potuto pompare in un paio di ore l’acqua dal lavandino esterno alla cisterna che rifornisce i nostri lavandini interni. Di fronte alle nostre “accorate” richieste ci hanno risposto nell’ordine che: potevamo riempire i secchi dal lavandino in giardino, speravano che la pressione dell’acqua facesse da sola il suo dovere, non avevano un tubicino di plastica per collegare la pompa al lavandino, erano dispiaciuti. In questi mesi, ho avuto più volte l’impressione che i nepalesi (come ogni generalizzazione deve essere valutata con cautela), costretti ad adattarsi a condizioni di vita molto difficili, abbiano sviluppato l’abitudine a convivere con il problema piuttosto che a risolverlo. Piccole e semplici innovazioni che potrebbero migliorare la loro vita quotidiana vengono ignorate o rifiutate, che si tratti di una pompa a motore per l’acqua o di uno spazzolone con il manico lungo per poter pulire i pavimenti senza dover sfregare ogni centimetro in ginocchio.

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