L’esperienza di Volontariato Internazionale in Perù di Katia: Bambini, donne e metodi di educazione non formale

 In Volontariato internazionale

Continua l’esperienza di Katia in Perù. Dopo ormai 4 mesi che si trova nel villaggio di Huamachuco per un progetto di volontariato, queste sono le sue riflessioni in merito a donne, bambini e circa i metodi di educazione non formale che utilizza ogni giorno durante le sue attività.

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I bambini

In queste ultime settimane ho camminato moltissimo per ogni lato di Huamachuco, impegnata nello svolgimento di un questionario (encuesta) con i bambini e gli adolescenti lavoratori di Huamachuco. L’obiettivo finale è la redazione di una ricerca sociologica per comprendere un po’ di più la realtà e la situazione dei più giovani nella comunità, per poterli appoggiare in futuro come Proyecto Amigo e con l’aiuto delle autorità.
In queste tre settimane di lavoro sul campo ho avuto la fortuna di conoscere tanti bambini e giovani incredibili, forti ed indipendenti, un po’ tristi o sorridenti ma tutti contraddistinti da una dignità immensa. C’è chi ha 8 anni, chi ne ha 14 o 17, chi lavora per necessità, per essere in grado di vestirsi e di mangiare, chi per aiutare i propri genitori, i fratelli o la madre sola, chi per potersi pagare gli studi, l’uniforme, i libri, chi per avere il proprio denaro da spendere come vuole. C’è chi è contento di lavorare perché impara di più dalla vita e pensa che chi non lavora è pigro o non ha voglia di aiutare, c’è chi si sente costretto dalla situazione economica e dalla famiglia, chi vorrebbe che i figli lavorassero in futuro per aiutarli o perché imparino come si sta al mondo, ma c’è chi non lo vorrebbe perché non vorrebbe che i propri figli siano tristi, vorrebbe essere in grado di essere professionale e darli tutto ciò di cui hanno bisogno e preferirebbe che si dedicassero agli studi.
Ci sono tante tantissime sfaccettature, mondi nascosti, pensieri, preoccupazioni, sogni. In tutti i giovani che ho incontrato dal il piccolo al più grande. Un mondo fatto di un intreccio di giochi, duro lavoro, maltrattamenti, soddisfazioni, sorrisi, amore, difficoltà… Tanto, tanto!
Ho scoperto che i bambini hanno una capacità di vivere incredibile. Sanno sopportare carichi pesanti sulle proprie spalle, sanno sacrificarsi perché sentono che è giusto così, sanno giocare ed essere ingenui, sanno sorprenderti con le loro domande e le loro risposte, sanno sognare un mondo migliore, purtroppo sanno anche cosa vuol dire non essere voluti o protetti come dovrebbe essere e sanno darti degli abbracci capaci di toglierti il fiato e farti venire le lacrime agli occhi.

In passato non avevo mai pensato di poter lavorare con bambini o pre-adolescenti, in questi 4 mesi in Perù però ci ho riflettuto molto e penso che una volta tornata a casa mi piacerebbe intraprendere una formazione in questo senso, unendo il lavoro con adolescenti a quello con bambini e pre-adolescenti sempre utilizzando le metodologie tipiche dell’educazione non formale, che è una strategia che secondo me paga molto e da la possibilità di apprendere sulla tua pelle, oltre che darti le varie nozioni. Una delle cose che più mi piace di questo lavoro è la reciprocità che esso comporta, mi fa dare tanto ma so che quello che condivido non va perso perché in un modo o nell’altro è recepito e compreso da altre persone, piccoli che in futuro saranno grandi e porteranno avanti questo mondo. Allo stesso modo quello che mi trasmettono loro non ha prezzo. Con le loro domande ti danno la possibilità di riflettere su tante cose che ormai si danno per scontato, ti aprono un mondo di semplici ragionamenti o semplici sentimenti che a volte sono stati rinchiusi in un cassetto in fondo a noi stessi. Sono uno stimolo continuo per rendersi conto di quali sono le cose veramente importanti della vita.peru-336161_640
La reciprocità in quechua si dice ayni, il quechua a Huamachuco non lo usano ma me l’ha detto un ragazzo hippie con cui ho parlato proprio dell’importanza della reciprocità una volta in spiaggia. Quando sono arrivata eravamo nel mezzo delle vacaciones utiles, ho iniziato la mia prima esperienza come educatrice insegnando comunicacion (spagnolo), teatro, inglese, arte o manualità. Abbiamo svolto due incontri sui diritti del bambino e chiedendoli di disegnare cosa li rende felici sono riuscita a conoscerli più a fondo. Sempre parlando di diritti ho improvvisato una lezione di geografia sugli stati nel mondo con bambini che raramente hanno idea di dove si trovi il Perù su una cartina geografica o se la Bolivia confina a ovest. È stata una delle lezioni più divertenti della mia vita. Bambini che urlavano a caso i nomi di continenti appena imparati quando gli chiedevo dove mettiamo l’Italia? La Turchia? L’Argentina? L’Australia? (Su una cartina del mondo goffamente disegnata sulla lavagna).
In teatro ho avuto la possibilità di rispolverare tanti giochi e dinamiche rubate ai tanti scambi internazionali in cui ho lavorato, in arte il magico mondo della pasta di sale o la creatività che può nascere da una bottiglia di plastica, dei fogli di giornali (imparando in questo modo l’arte del riutilizzo dei materiali) e delle tempere per creare i birilli più fantastici di questo mondo, lasciando libero sfogo ai propri gusti personali e creando qualcosa con le proprie mani.
Nessuno mi ha detto cosa fare e come farlo ed è proprio questa la cosa che mi piace di più: la possibilità di creare insieme ai bambini qualcosa di nuovo, mai fatto prima. Una delle cose più importanti per me è stato però iniziare a scoprire un po’ di più il mondo dei bambini. Riuscire a ragionare con loro su tematiche importanti, notare come alcuni hanno bisogno di più attenzioni e te le chiedono, ti abbracciano, ti fanno tante domande e non vedono l’ora di sentire la tua risposta; altri le vorrebbero ma mai sarebbero capaci di chiedertele apertamente e allora è lì che tante volte mettono in atto comportamenti sbagliati con i compagni, vuoi perché nessuno gli ha mai mostrato come comportarsi in certe situazioni, vuoi per nervosismo, vuoi per difficoltà nell’esprimere le proprie emozioni. Ed è proprio in momenti come questi che ti rendi conto che davvero nessuno ti insegna come comportarti in tante situazioni. Anche quando si è adulti, ma che nessun bambino capirà mai perché non va bene comportarsi in un certo modo se semplicemente lo si sgrida e gli si dice di non farlo. Bisogna parlarci con loro, bisogna mettersi al loro stesso livello non pensare di essere superiore dicendogli questo no, quello si. Bisogna fargli capire perché un comportamento non è giusto, riflettere sulle proprie azioni, metterli nei panni opposti, parlargli, parlargli tanto e supportarli nel momento in cui si rendono conto che hanno sbagliato e vogliono fare qualcosa per migliorare la situazione.
C’è una forza che mi spinge verso di loro, la forza è che io credo, credo davvero che i bambini siano il futuro del mondo e che da qui inizia, può partire un cambiamento di pensiero e di comportamento, quindi insegnare i valori del rispetto dell’altro, della tolleranza, dell’accettazione, dell’importanza di esprimere il proprio pensiero e di ascolto degli altri, dell’ambiente, del lavoro necessario per ottenere dei risultati. Credo che sia fondamentale.

Le donne

Inizio premettendo che qui in Perù la cultura machista in generale è predominante e soprattutto in una cittadina di montagna come Huamachuco. Molto spesso le donne sono dipendenti in tutto e per tutto dal marito-padrone che è la persona della famiglia che lavora mentre le donne si occupano della casa e dei figli. È una cultura ben radicata, anche nelle donne stesse, soprattutto per chi proviene dalla campagna più profonda ma che si sta muovendo verso un’indipendenza sempre maggiore delle donne che sanno badare a se stesse, lavorare e crescere dei figli anche da sole (spesso non lo vorrebbero, ma è necessario quando il padre sparisce). In realtà nei 4 mesi che ho passato qua, ho visto donne forti, capaci di sopportare pesi incredibili, sofferenze, crescere dei figli, lottare con le unghie per andare avanti e non far mancare nulla alla propria famiglia.lake-1040124_640
Le donne del campo si vestono sempre con i vestiti tradizionali molto colorati rappresentati dalla pollera (gonna) composta da una quantità di strati infinita, camicia, maglioncino, sombrero, sandali e reboso. Il reboso è una specie di mantella, solitamente di lana, ma ultimamente prodotta anche con tessuti sintetici, che non manca mai! Viene usato come scialle o per trasportare le cose più disparate.. Erba, frutta, verdura, bambini.. Quale che sia la cosa che si vuole trasportare la si avvolge con il reboso che successivamente viene legato sul petto con un nodo. E le donne in questo modo trasportano kg e kg di prole o prodotti, camminando su e giù per le pendenze di Huamachuco.

 

“Un vero viaggio non è scoprire nuove terre, ma avere nuovi occhi”

Katia Bortolozzo

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