Il racconto di Elena sul suo volontariato in Romania

 In SVE

Elena ha svolto il suo volontariato europeo in Romania grazie ad un progetto supportato da P.E.CO, un’organizzazione di promozione di progetti europei di cooperazione, nata con la volontà di offrire opportunità di mobilità internazionale e di apprendimento interculturale.

Se penso al mio volontariato europeo in Romania mi vengono in mente tre parole: SEED BOMBS, COCONUT COOKIES E BARROW.

SEED BOMBS: letteralmente significa “bombe di semi”. L’inizio, un giorno di pioggia, lo ricordo bene. Confusione, senso di smarrimento, tristezza, rabbia; queste le emozioni associabili a quel 16 o 17 maggio in cui a dire il vero, più che nel posto giusto mi sentivo come un pesce fuor d’acqua (letteralmente perché lontana dal mio mare). Non lo so perché, o forse lo so, avevo voluto sentire delle emozioni, immergermi nelle emozioni. E forse stavolta avevo un poco esagerato, forse mi ero sopravvalutata, avevo sopravvalutato le mie capacità per poter affrontare tutto questo, che dopotutto, era la mia storia. Non a caso due giorni prima della partenza ricordo di aver preso seriamente in considerazione l’idea di rinunciare al progetto. O forse semplicemente mi sentivo come sempre all’inizio di una nuova esperienza: piccola. Come un puntino nell’Oceano. Già, io sono così, mi inserisco piano, in punta di piedi, quasi con un po’ di timidezza. Ah, i “seed bombs” erano un semplice simbolo, dei semi di vari fiori piantati nella terra cotta, pronti da spargere nella città per darle più colore e vivacità. Un’attività iniziale proposta dai coordinatori dei vari progetti in corso di cui io non ne avevo capito assolutamente il senso. Forse perché il mio inglese, dopo l’anno precedente di volontariato in Brasile passato a praticare il portoghese, era decisamente peggiorato, se non dimenticato. O magari dovevo solo comprendere e sperimentare quello che sarebbe stato il mio ruolo nei successivi momenti che avrei trascorso in questo Paese.

volontariato di elena

COCONUT COOKIES: circa un mese più tardi dopo lunghi e forse normali attimi di esitazione, ho iniziato a sentirmi davvero parte del progetto. Specialmente durante le prime settimane lasciavo fare agli altri, non prendevo iniziativa. Poi, qualcosa è scattato. Piano piano capivo quanto e come poter fare in ogni ambito e poco a poco entravo in empatia con i volontari del mio progetto e in generale dell’associazione. Quest’ultimo particolare devo dire mi è stato di grande aiuto, poiché sentivo che tutti, se pur arrivando con motivazioni ed esperienze molto diverse, condividevamo qualcosa di importante, che solo ora posso spiegare semplicemente come il desiderio di fare qualcosa di buono per gli altri. Anche con la gente del posto, i coordinatori e le persone in qualche modo collegate all’associazione, la sensazione principale è stata di accoglienza e apertura. Anche grazie a tutte queste relazioni positive la mia partecipazione diventava sempre più attiva, che fosse nel creare un gioco per i ragazzi dell’orfanotrofio, preparare un disegno per i più piccoli del reparto pediatria dell’ospedale o inventare delle semplici ricette di cucina (coconut cookies) da sperimentare al centro disabili. Lentamente percepivo la sensazione di aver trovato il mio posto.

L’ultima parola invece, BARROW, traducibile come “carriola”, corrisponde alla fase vissuta più di recente, alla quale potrei associare altre parole come incendio, bomba, temporale. Nell’ultimo mese di questo EVS fino ad oggi quello che è avvenuto fuori e dentro me è letteralmente un’esplosione: di idee, di motivazione, di energia e soprattutto di consapevolezza. Consapevolezza di non poter cambiare il mondo e salvare nessuno, ma semplicemente mantenere il proposito ogni sera di portare un po’ di allegria, un sorriso o qualcosa di positivo da imparare a chi ne avesse avuto più bisogno l’indomani (anche fuori orario di lavoro). L’attività in cui ho realizzato col tempo di poter esprimere a pieno e con serenità le mie capacità è al lunedì, in una delle comunità rom della città. Li i bambini vivono nelle case di legno, molti di loro non sanno né leggere né scrivere, o mantenere un livello di attenzione superiore a due minuti. Eppure in quell’ora e mezza alla settimana quello che si percepisce è un bisogno uguale a tutti i grandi o bambini del mondo, ovvero di essere considerati, magari ascoltati o semplicemente amati. E questi piccoli sempre ci accolgono in un modo così speciale, quel modo di chi, avendo così poco, apprezza la più piccola cosa, anche solo un abbraccio.

Ricordo col sorriso uno di quei lunedì pomeriggio in cui, come al solito, decidevo di passare attraverso la comunità per arrivare allo spazio comune dedicato alle attività. Con me un altro volontario, che prende lo stesso cammino; insieme incontriamo un ragazzo del posto che, in cima ad una carriola trainata da un cavallo, ci invita a salire per raggiungere più velocemente il luogo per iniziare assieme le attività . È decisamente folle, sembra di stare sulle montagne russe, mi riempio le caviglie di terra e per la prima volta davvero, sento di fare qualcosa non solo per, ma CON la comunità. Accennavo poco fa al fatto che per me essere volontaria in questo EVS non corrisponde esclusivamente all’azione lavorativa nei momenti previsti dal contratto. No, essere volontario è una scelta, uno stile di vita, sempre. Potessi associare un’ultima parola alla fase vissuta nelle ultime settimane sceglierei Denisa. Lei è una delle bambine rom che chiede l’elemosina nella strada dell’appartamento in cui vivo attualmente. Quel giorno la chiede anche a me, mentre aspetto con qualcuno di mangiare qualcosa per pranzo nel piccolo bar della zona. Quel qualcuno la pensa come me e assieme invitiamo la piccola a sedersi, dirci come si chiama, e a mangiare con noi. Penso che l’essenza del progetto, o per lo meno, la ragione del mio essere qui è quella di mettersi in gioco e accogliere, lasciando da parte pregiudizi o stereotipi, che altro non fanno che creare muri che dividono le persone, ognuna nel proprio piccolo mondo. Quello che sento e cerco di mettere in pratica nel vivere di ogni giorno in questo EVS, e non solo, è proprio considerare ognuno come un pezzo importante di un grande puzzle, magari ideato da qualcuno più “grande” di tutti noi. Ho trovato curioso e forse non del tutto casuale che il simbolo dell’associazione Team for Youth fosse proprio un pezzo di puzzle. Mi piace usare questa metafora pensando che venire qui, vivere questa cultura, fosse per me trovare e mettere insieme un pezzo speciale del mio puzzle.

volontariato di elena

Cinque mesi prima….

Mi chiamo Elena, ho 25 anni e da quando ne avevo circa uno e mezzo vivo in una cittadina non troppo caotica del nord-est Italia, vicino al mare. I primi, primissimi momenti di vita so che sono iniziati proprio in questa Romania. Li, a quel tempo, mi è stato dato un nome, Florina (poi diventato secondo) un battesimo ed un posto sicuro in cui poter continuare le mie giornate. Ho sempre vissuto con la consapevolezza di essere stata fortunata e ho deciso di voler “ringraziare” questa vita per le grandi occasioni datemi, aiutando a mia volta qualcun altro, questa volta nel mio Paese natale.
Esperienze di volontariato, ambito educativo o sociale non mi sono nuovi: circa due anni fa ho terminato i miei studi per diventare assistente sociale e l’anno scorso l’ho passato come volontaria in una comunità di bambini in Brasile. Una volta tornata sentivo di voler continuare in questa direzione, così ho iniziato a cercare una nuova meta, ed una in particolare ha catturato la mia attenzione. Il nome del progetto in questione era “4by4” e prevedeva la permanenza in una città verso il nord della Romania (Baia Mare), per un periodo di quattro mesi come volontario presso l’associazione Team for Youth. I volontari scelti in tutto sarebbero stati quattro, di cui due dalla Francia, uno da Malta ed uno solo in tutta Italia. Il tipo di target con cui avrebbero lavorato sarebbero stati vari gruppi come bambini di un orfanotrofio, di una comunità rom, dell’ospedale della citta o, ancora, degli adulti frequentanti un centro diurno per disabili.
Pensandoci bene, ma non troppo a lungo, ho deciso di preparare la mia candidatura per questo progetto di volontariato europeo

Elena

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