L’esperienza SVE di Michele: “L’importanza di essere flessibili.”

 In SVE

Cominciamo dal principio: Why Bulgaria?
Questa è senza dubbio una delle domande più comuni che viene rivolta non solo a me, ma anche a tanti altri volontari SVE qui – e sicuramente anche altrove, con opportune sostituzioni di natura geografico-culturale.

Spesso arriva proprio da parte dei bulgari, che non si rendono conto di come ciò sia possibile, oppure sono genuinamente curiosi di quale sia l’immagine della Bulgaria in Europa Occidentale e quali i motivi che possono spingere a venire proprio qui, quando la maggior parte dei bulgari stessi vuole emigrare (per ragioni differenti, principalmente economiche). Altre volte viene rivolta, invece da altri stranieri (inclusi tanti italiani), che spesso non si rendono conto che qui non si sta né sensibilmente peggio né sensibilmente meglio che in qualsiasi altro paese dell’Est Europa (e non solo) – e chi pensa altrimenti probabilmente non ha viaggiato abbastanza per avere dalla sua il supporto delle evidenze, oltre che quello dell’esperienza personale e diretta.

Dovendo fronteggiare così tante volte la stessa domanda, ho imparato a rispondere in maniera breve e concisa: because life brought me here (che, per i non anglofoni, significa: “perché la vita mi ha portato qui”). Mi rendo conto però che la brevità, per quanto possa essere utile ed apprezzata, spesso non è granché soddisfacente. La versione lunga, per coerenza, sarebbe un libro con la storia integrale della mia vita, per cui mi sembra il caso di dover trovare un punto di equilibrio – equilibrio, che bella parola.

Ci provo.
Ho appreso della possibilità di partire per un anno in un paese europeo tramite alcuni amici più di dieci anni fa, e da sempre l’idea mi ha affascinato. Tra scuola, lavoro, università, priorità varie – giuste o sbagliate, non ha importanza – ho sempre posticipato, accontentandomi nel frattempo di partenze più brevi, molte volte proprio grazie al programma Erasmus+. Dopo aver tanto atteso e ben conoscendo non solo le potenzialità di un’esperienza simile ma anche il pericolo di poterla “sprecare” non vivendola in maniera significativa, è stato naturale per me porre l’accento sul cosa e sul come, piuttosto che sul dove: ero disposto ad andare dovunque, sfidando paure e pregiudizi, a patto di poter vivere appieno l’esperienza.

Così, a marzo del 2017 durante un corso di formazione in Finlandia ho conosciuto Aleko, presidente della Green Association, organizzazione che mi sta ospitando. Chiacchierando con lui, da subito sono rimasto colpito dal fatto che si occupava di temi che mi stanno a cuore e di cui mi occupavo anch’io in quanto membro attivo di un’associazione di promozione sociale nel mio paese. Tuttavia, non essendo ancora pronto per partire, avevo accantonato l’idea finché a gennaio dell’anno dopo mi sono ritrovato quasi per caso a visitare per la prima volta la Bulgaria, complici dei voli super economici! Tra le altre cose, ho contattato Aleko che mi ha invitato a visitarlo a Момин Проход (Momin Prohod), dove mi sono da subito innamorato della Green House, quartier generale dell’associazione, ed ho potuto conoscere alcuni volontari e capire meglio in cosa consistesse il progetto.
Non ho avuto dubbi da quel momento: questo era il tipo di SVE che volevo fare! Ricordo ancora la sensazione di adrenalina che mi ha attraversato quando ho saputo di esser stato selezionato ed ho ricevuto la conferma di poter partire, e l’impazienza nell’ultimare tutti i preparativi del caso; sono passati da allora solo 7 mesi, eppure mi sembra quasi una vita fa.

D’altronde è facile che sia così, quando i mesi sono talmente pieni di novità, stimoli, cose da fare, persone, cambiamenti, attività!
L’impatto con la Bulgaria è stato sicuramente netto e deciso, ma non traumatico: certo, le differenze sono tante e su diversi aspetti, ma la vita nel villaggio mi ha per certi versi ricordato le campagne del Sud Italia o magari anche alcuni borghi dell’Italia centrale.
Come prima cosa, ho dovuto imparare a leggere l’alfabeto cirillico ed il bulgaro essenziale almeno per fare la spesa, mentre le attività da volontario ruotavano principalmente attorno alla cura della casa e del giardino; ma non è mancato il tempo per conoscere gli altri volontari (un ragazzo francese e due ragazze, una francese ed una spagnola) ed iniziare ad esplorare la Bulgaria, visitando un paio tra le più selvagge spiagge del Mar Nero, in attesa di quella che sarebbe state l’estate più densa ed entusiasmante della mia vita!

Sì, perché non era stato abbastanza imparare a costruire una scalinata con pietre e cemento, fare marmellate e liquori con le ciliegie e le amarene del giardino, vivere a contatto con la natura ma al tempo stesso non lontani dalla capitale Sofia (dove abbiamo dapprima messo a nuovo – pittando muri e soffitti – e poi inaugurato un ufficio dell’associazione), imparando poco a poco a scoprire la Bulgaria, culturalmente e culinariamente.
No, abbiamo anche potuto partecipare a svariati festival immersi nella fantastica natura bulgara, tra vegetazione, ruscelli e montagne. Abbiamo imparato a preparare i мекици (in italiano si pronuncia “mechìzzi”), ovvero dei soffici dischetti deliziosi di un impasto di farina abbondantemente fritto, che i bulgari solitamente mangiano per colazione (o altrimenti come spuntino più o meno di qualsiasi ora) accompagnati da zucchero a velo, marmellata, cioccolato, miele, formaggio o anche spezie salate. Tra l’altro il risultato era talmente buono che qualcuno ha pensato che fossimo bulgari, almeno fino al “buongiorno” e un altro paio di parole che ci hanno immediatamente sbugiardato per via dell’evidente accento straniero!

Ho scoperto posti incantevoli, villaggi semi-abbandonati, la magia del fuoco notturno a Фролош (Frolosh) e l’atmosfera fatata di Долен (Dolen), che mai potrebbe racchiudersi in un solo scatto.
Ho potuto conoscere tante persone diverse, a volte lanciandomi un po’ di più dei miei “colleghi” volontari e ritrovandomi ad essere l’unico straniero in mezzo ai bulgari, che a maggior ragione per questo non si sono risparmiati nell’offrirmi ogni tipo di alcol – qualcuno ha detto ракия (rakìa)?
E poi giù di nuovo a lavorare sodo, pavimentando due stanze con il parquet e costruendo una biblioteca con delle tavole e gambe di legno. Il tutto in soli cinque giorni, con l’aiuto di un esperto e pensionato artigiano che mi rifocillava di birra e mi chiamava affettuosamente майсторе (“màisture”, in italiano “maestro”), quando in realtà il vero майсторе era lui.

Così, neanche il tempo di accorgersene, arriva anche agosto e con esso 16 nuovi volontari di breve termine che si sono aggiunti a noi per due mesi, aiutando ad organizzare il Beglika fest, uno dei più importanti festival in Bulgaria, e partecipando al Green Summit, un tour per villaggi e aree rurali della Bulgaria organizzato interamente dalla Green Association con lo scopo di promuovere uno stile di vita più sostenibile.
Soprattutto quest’ultima è stata un’esperienza così incredibilmente piena che, frenato dall’impossibilità di raccontarla in poche righe, ho quasi pensato di sorvolare interamente… ma non sarebbe stato giusto.

Devo almeno provare a darvi una piccolissima idea di cosa potrebbe essere spostarsi in un furgoncino per le non eccezionali strade bulgare, spostandosi di villaggio in villaggio, toccando 23 posti diversi in 23 giorni, in alcune occasioni dividendo e poi riunendo il gruppo di volontari per seguire diverse rotte, ritrovandosi poi con più esperienze da raccontare. Conoscere persone diverse che ci hanno ospitato con i loro diversi modi di fare, aiutarli nei loro progetti occupandoci di svariate attività tra cui giardinaggio, riparazioni varie, allestire di un festival, costruire di bagni a secco in legno, scavare canali per proteggere i tubi dell’acqua dal freddo inverno bulgaro o anche solo spostare pietre, o ancora con una ripulita in una zona pubblica. Imparare nel frattempo come godere dei frutti della natura, facendo vino, estraendo il succo dalle canne da zucchero, imparando a preparare la лютеница (lyutenitsa, tipica salsa di peperoni bulgara) ed il компот (kompot) di prugne. Vivere un po’ all’avventura, sempre pronti a montare e smontare la tenda, ritrovarsi con una chitarra attorno al fuoco. Aprirsi all’imprevedibilità del viaggio, parlare con le persone, conoscere una giornalista svizzera con il suo bellissimo progetto Joy for the Planet, accettare con entusiasmo di suonare un tributo all’allegria in una jam session e poi farsi accompagnare da lei in Macedonia nel suo camper, proponendole un piccolo detour per restare con noi una notte a Стар Истевник (Star Istevnik), dove poi ha deciso di girare un video.
Ecco, tutto questo meritava di essere raccontato.

Sicché, dopo la partenza dei volontari di breve termine, ci siamo ritrovati di nuovo in 4, in una fase di transizione prima di affrontare un nuovo inizio con una nuova consapevolezza. E dopo tanta avventura, tanta ispirazione, musica, canzoni, poesie, tanto contatto umano e zero tempo per fermarsi… è arrivata la quiete dopo la tempesta, con la complicità dell’inverno e della neve che già inizia a scendere su Sofia.
Sì, perché dall’inizio di novembre invece ci siamo trasferiti nella capitale, con la principale mansione di prenderci cura del precedentemente menzionato ufficio inaugurato a maggio, che nel frattempo è già diventato un luogo di incontri e spazio condiviso per eventi, anche organizzati da altri gruppi e associazioni. Tocca nuovamente abituarsi, ma il bello dello SVE è anche questo: una continua sfida, un viaggio, un percorso che se ben vissuto non può fare a meno di cambiarti.

Ecco il perché del titolo: l’importanza di essere flessibili. Non avere piani scritti nella roccia, assecondare il fluxus, accogliere l’insicurezza come unica certezza.
Ecco perché la Bulgaria: qui e solo qui ho potuto vivere queste meravigliose esperienze, perché la differenza la fanno le persone più dei posti.
Ecco perché lo SVE: per imparare a conoscersi, crescere e cambiare.
Ecco perché: perché la vita mi ha portato qui.

Michele

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