Clara: 365 giorni a Cipro e molto di più. Esperienza SVE

 In SVE

Clara ha passato 365 giorni a Cipro e si prepara a trascorrerne lì, altrettanti. Clara è partita ad inizio 2016 per un’esperienza di Servizio Volontario Europeo e questo è quello che ha voluto condividere con noi, al termine della sua esperienza.

Il Cancello

Otto del mattino.
Il mio caffè è pronto, la borsa è sul tavolo con decine di piccoli post-it e note che mi aiutano a ricordare appuntamenti, idee, cose imparate, informazioni utili, numeri di telefono.
Occhiali, pranzo, penne, cellulare… Dove sono finite le chiavi? Ah! Trovate!
Prendo la mia bicicletta e attraverso Nicosia tra gli automobilisti che mi guardano come se fossi un’ aliena solo perché non ho una macchina. “Sorry I don’t think I understood: why don’t you have a car?” Lasciamo perdere. Nonostante cerchino di mettermi sotto almeno tre volte al giorno, continuo ad amarli questi ciprioti!

Sono in ritardo e il freddo mi mette di fronte ad un dilemma che credevo superato dopo aver abbandonato la Pianura Padana. Il mio Professore universitario credo che lo chiamasse “dilemma del mattino”, qualcosa ai confini del marzulliano: pedalo più veloce per arrivare prima e soffrire di meno, o pedalo più piano per evitare il vento gelido dritto sulla faccia? Non importa, sto divagando. Il vero punto è che da Siciliana, dopo 3 anni di migrazione al nord Italia, avevo scelto Cipro fidandomi dei trenini di Capodanno in costume da bagno che avevo visto su internet. Mi immaginavo sotto le palme da cocco a Dicembre e, per la prima volta, dopo 3 anni di Nord, non avrei avuto nulla da invidiare a tutti gli amici terroni non emigrati. Tutte menzogne. Tutte illusioni: da Novembre a Gennaio pare che si geli, anche ai confini con il Medio Oriente.
La città vecchia, quella dentro le mura, è ancora silenziosa a quell’ora. I gatti – padroni indiscussi di ogni vicolo- possono stendersi alle luci del primo sole tranquilli, nel bel mezzo della strada. Nicosia si prepara ad accogliere turisti, anziani, giovani e bambini. Di lì a poco sarà tutto un brulichio fatto di caffè, sorrisi, Zivania (una sorta di grappa locale), sfoglie dolci e salate fragranti e giochi da tavolo.
Lascio i gatti ai loro affari quotidiani e pedalo un po’ più veloce. Starò per caso risolvendo il dilemma? No, sono ancora troppo titubante.
Suono il campanello dello Shelter, la mia giornata sta per cominciare.

Ogni volta che suono quel campanello vari sentimenti mi attraversano: ogni tanto sono stanca ancor prima di cominciare, a volte non sto nella pelle per qualcosa che ho programmato, a volte sono curiosa, emozionata, felice. A volte – nei secondi che intercorrono tra il mio citofonare e l’apertura del cancello- provo ad immaginare cosa succederà nella giornata con 45 adolescenti in giro.
Ad ogni modo, nella stragrande maggioranza dei casi, mi sento semplicemente a casa.
Il mio Servizio Volontario Europeo è cominciato esattamente un anno fa. Non potevo immaginare tutte le cose che sarebbero successe in questi 365 giorni, non potevo immaginarlo quando sono entrata da quel cancello per la prima volta.
Quando ho attraversato per la prima volta quel cancello mi sentivo straniera, aliena, confusa, disorientata, sicuramente preoccupata.
Nei miei primi giorni allo Shelter per minori stranieri non accompagnati, sono stata letteralmente sommersa dalle informazioni. Andavo in giro cercando di ricordare nomi, codici, numeri, procedure. Parlavo ai miei colleghi e ai ragazzi in un inglese un po’ titubante, cercando di non sembrare troppo stupida.
Quarantacinque adolescenti, più di trenta colleghi, cinque uffici, venti telefoni, tre altri volontari e, ciliegina sulla torta, i maledettissimi nomi greci che cambiano a seconda della coniugazione. “Costantineeee?” “Ma non si chiama Costantino?” “Sì, ma se lo devi chiamare metti la “e” finale!” Tutto chiaro, come no! Gli incubi notturni sull’uso del vocativo erano in agguato.

Sono passati dodici mesi e sì, sono sopravvissuta, anche ai vocativi.
Sono sopravvissuta. Adesso le stesse facce, gli stessi posti, lo stesso cancello, gli stessi improbabili nomi greci mi fanno sentire a casa.
Ho imparato, sono cresciuta personalmente e professionalmente. Ho creato, fallito, scambiato, ho trovato il mio equilibrio e il mio posto. Sono stata supportata e ho supportato, ho dato e ricevuto fiducia, incoraggiamento. Ho dato e ricevuto energia.
Il mio progetto finisce oggi, e stamattina quando ho attraversato quel cancello, i
trecentosessantacinque giorni hanno attraversato con me, accompagnandomi e mostrandomi quello che abbiamo fatto insieme.
Adesso tornerò in Italia, ma soltanto per un po’.

I miei studi, le mie precedenti esperienze lavorative e questi trecentosessantacinque giorni di crescita, mi hanno dato la possibilità di lavorare e di far parte di un team qualificato, professionale, giovane. In trecentosessantacinque giorni la mia hosting organization e gli amici di questa strana isola, sono diventati la mia famiglia.
Ed eccomi ad attraversare quel cancello nei prossimi trecentosessantacinque giorni.
Di sicuro non sono la stessa persona che varcò quella soglia per la prima volta, grazie ai quarantacinque adolescenti, ai trenta colleghi, ai cinque uffici, ai venti telefoni, e agli altri volontari e amici.
Ma anche grazie a me, alla mia determinazione e alla mia intraprendenza.
Oggi ringrazio tutti loro e ringrazio me stessa, perchè è ora di tirare le somme e raccogliere le energie per una nuova avventura.
Perchè le persone fanno del volontariato? Forse per provare a varcare una soglia.
Non importa che si tratti di un cancello, di staccionate, di porte o linee immaginarie, quello che conta è attraversare.

Grazie a Joint Milano per essere stati il supporto di questa bella avventura!

Clara Montalbano

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